martedì 26 aprile 2016

Hard Candy (David Slade, 2005)


Una delle prime scene di Hard Candy preannuncia già molto di quello che verrà. Un uomo di mezza età ed una ragazzina quattordicenne si incontrano in un bar dopo aver chattato per qualche settimana. Ci aspetteremmo che a tenere le redini della conversazione sia il primo, Jeff (Patrick Wilson); invece, sorprendentemente, a dirigere accuratamente il gioco, anche nelle sue svolte più insidiose, è la giovanissima e molto intelligente Hayley (un'allora esordiente Ellen Page), con indosso una felpa con cappuccio rossa che a molti ha ricordato la mantellina di un'altra fanciulla, protagonista di un incontro un po' troppo ravvicinato con un famelico lupo. Spostandosi tra i due protagonisti seduti uno di fronte all'altro, la macchina da presa indugia per un attimo su un volantino che annuncia la scomparsa di una giovane adolescente: chiaramente, che ciò accada non è per nulla casuale.


Primo lungometraggio di David Slade, regista poi di 30 giorni di buio (30 Days of Night, 2007) e The Twilight Saga: Eclipse (2010), nonché di episodi di alcune serie tv, tra cui Breaking Bad e Hannibal, Hard Candy è un piccolo thriller claustrofobico che si costruisce attorno ad un'idea semplicissima, un sorprendente ribaltamento di posizione che tenteremo di non svelare completamente qui. I dialoghi tra Hayley e Jeff costituiscono tutto ciò che sappiamo sui personaggi e sul loro passato: azioni od oggetti che materialmente potrebbero legare più a doppio filo le loro parole alla realtà rimangono quasi sempre ai margini dell'inquadratura od oltre il fuoco della lente. Gli spettatori si scoprono, loro malgrado, posti sulla sedia del giudice: di fronte a loro c'è una situazione torbida ed inquietante, nella quale si mescolano vergognosi misteri e folle determinazione. La vittima torturata fisicamente e psicologicamente potrebbe essersi macchiata di un terribile delitto, ma la violenza della punizione ci fa sobbalzare e ci spinge a domandarci se sia davvero la cosa giusta da fare, dal momento che in campo non sembrano esserci, almeno per chi guarda, certezze. Soltanto il finale porterà con sé la soluzione.


Durante la preproduzione si è consapevolmente scelto di tenere il budget molto basso, sotto il milione di dollari, in modo da avere il maggior grado possibile di libertà dalla casa di produzione, visto che l'argomento al centro del film è particolarmente controverso. L'azione scenica che fa da cardine all'interno della costruzione della storia è in effetti piuttosto estrema (pur non sfiorando mai realmente l'horror), e difficilmente, si può immaginare, sarebbe passata indenne attraverso le maglie di una produzione più costosa. Pur utilizzando mezzi piuttosto limitati, in ogni caso, la regia sa esprimersi con chiarezza e capacità, incollando l'obiettivo ai volti, analizzandone ogni microscopica ruga d'espressione, registrando ogni lacrima e goccia di sudore.


La colonna sonora è quasi del tutto priva di musica: le sono dedicati infatti appena nove minuti in totale, mentre il resto è composto dalle parole, dai rantoli, dai respiri e dalle urla dei due protagonisti. Ellen Page e Patrick Wilson si esibiscono in un passo a due ben calibrato, dove entrambi i personaggi hanno modo di emergere ed ogni interazione è in grado di definirli maggiormente. Particolare importanza assume l'uso della color correction: i toni e i colori delle inquadrature, infatti, in alcuni momenti cambiano radicalmente senza seguire una logica naturalistica, ma adeguandosi ai sentimenti e ai pensieri dei personaggi.


Hard Candy è, sotto un certo punto di vista, un paradosso: è un film brutale pur senza essere, alla fine, visivamente violento. Non è difficile, in ogni caso, provare un certo senso di disagio durante alcuni momenti, immedesimandosi ora nell'uno ora nell'altra, senza trovare pace. Immobilizzati, come legati alla sedia, ci lasciamo trasportare all'interno di un meccanismo crudele di spinte contrapposte che caricano con la propria energia un atto finale intenso ed avvolto nella tensione.

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