mercoledì 12 aprile 2017

Manchester by the Sea, la recensione


Lee Chandler (Casey Affleck) è il portinaio e spesso e volentieri tuttofare di un grande condominio di Boston, una presenza silenziosa ed evanescente che ripara i guasti e tiene in ordine. Conduce una vita solitaria, quasi monastica, passata in gran parte all’interno dei palazzi in cui lavora o nello scantinato spoglio in cui abita; i rapporti umani sono ridotti al minimo. Dovendosi occupare del nipote dopo la morte del fratello, Lee è costretto a tornare nella sua cittadina natale, Manchester-by-the-Sea, e a rivangare dolorosi ricordi. 



Scritto e diretto da Kenneth Lonergan grazie ad un suggerimento arrivato da Matt Damon, che figura come produttore ma che inizialmente, prima che sorgessero problemi con le tempistiche, avrebbe dovuto essere anche regista ed attore principale del progetto, Manchester by the Sea è un delicato esercizio di sottrazione. Al centro del suo soggetto c'è una vicenda cupa e straziante, eppure, fatta eccezione per un lungo flashback, il tono è lieve e sorprendentemente venato di commedia. L'oscurità è dipinta ad acquerello, in strati talmente sottili da trasformarla in un'ombra spesso quasi invisibile ma impossibile da dimenticare, capace di impregnare ogni battuta. Le inquadrature sono semplici e classiche, i colori usati lividi e freddi; sugli esterni domina un cadaverico velo azzurrino che si stende su tutto e tutti. Il ghiaccio che stringe nella sua morsa il terreno attanaglia anche i cuori, ricopre le ceneri e le cicatrici indelebili di un incendio lontano nel tempo ma non nella mente. La colonna sonora, presumibilmente approntata per porsi in contrasto con la purissima semplicità e linearità della messa in scena, è forse in qualche caso un po’ troppo ridondante; fornisce a certe sequenze una calcata sottolineatura emotiva che forse non era davvero necessaria. 


La recitazione di Casey Affleck è, come la sceneggiatura, estremamente minimalista. Gli occhi tristi di Lee ci dicono fin dalla prima scena che su di lui grava un peso terribile, al quale inizialmente non sappiamo dare un nome. La sua vita da recluso presenta gli evidenti tratti della punizione; una misurata sublimazione del lutto, oltre la disperazione ed il dolore, il più possibile lontano dalla ex-moglie Randi (Michelle Williams), che a differenza dell'ex-marito cerca in ogni modo di riempire il grande vuoto che le si è spalancato davanti, probabilmente senza successo ma con commovente ingenuità. L’imbarazzato dialogo tra loro due è la manifestazione fisica di un abisso emotivo che nessuna parola, tanto sincera quanto inefficace, può richiudere. Il piccolo mondo che Lee si è costruito attorno è solitario e volontariamente isolato, e non contempla la presenza di nipoti bisognosi di una figura adulta a cui affidarsi. Patrick, interpretato da Lucas Hedges, è a tutti gli effetti un adolescente più che credibile, continuamente diviso tra la volontà di dimostrarsi virile e il desiderio di veder rassicurate le inquietudini che il suo traumatico atterraggio nel mondo degli adulti comporta. Le circostanze instaurano tra zio e nipote un rapporto di dipendenza che entrambi vorrebbero recidere, senza poterlo fare; ad impedire l’abbandono o la riunione i lutti. Così, se il terreno congelato impedisce categoricamente lo svolgimento dei funerali, in maniera simile nel passato di Lee c’è una voragine sulla quale è del tutto utopistico pensare di stendere un ponte. Non resta, dunque, che una sola cosa da fare: il finale del film è, infatti, in un certo senso controintuitivo. L’unica guarigione possibile è quella che accetta la sua impossibilità.

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